Se dovessi definire con un sostantivo la mia poesia utilizzerei il termine epica, anche se le gesta
degli eroi dei miei versi non appartengono a persone più intelligenti, forti, brillanti o astute degli
altri uomini (caratteristica dei “miti” che...
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Se dovessi definire con un sostantivo la mia poesia utilizzerei il termine epica, anche se le gesta
degli eroi dei miei versi non appartengono a persone più intelligenti, forti, brillanti o astute degli
altri uomini (caratteristica dei “miti” che ritroviamo nei poemi epici della letteratura classica greca e
latina o nella cosiddetta “epica cavalleresca”, dai toni più satirici e grotteschi, del periodo
medievale), ma la gente comune, le loro storie di vita quotidiana.
La gente appunto, e mi
sovvengono le parole dell’abate Vella nel romanzo di Leonardo Sciascia “Il consiglio d’Egitto”
quando parla della storia, del fatto che non esista se la consideriamo solamente con la bocca o le
parole dello storico, ma siamo noi la storia, i nostri padri, i nostri avi e trisavoli, la voce della loro
fame, i sensi della gente, questa è la storia, e chi meglio del poeta ha la facoltà e l’obbligo morale di
raccontarla.
Poesia tra e per la gente, con uno sguardo attento alla corporalità del
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